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#10 del 12-12-2000

TXT: Lorenzo Meroni  

dogtown1_1Lo skate moderno, qualcosa che appassiona un numero incredibile e sempre crescente di ragazzi, che li riunisce nelle strade e piazze di tutto il mondo per imitare i trick ipertecnici dei loro pro preferiti. Ma quanti di questi ragazzi e quanti di noi conoscono la storia dello skate, dove è nato, come si è sviluppato nel corso degli anni fino ai giorni nostri? Un articolo di G. Beto pubblicato sul magazine ‘SPIN’ nel marzo del 1999, ci da occasione di conoscere la storia di DogTown, il Zephyr Team, la nascita e lo sviluppo della scena, i venticinque anni che sono trascorsi da quando il giovane e rissoso Tony Alva si lanciava nelle pool prosciugate di L.A. Si, venticinque anni fa, quando nessuno avrebbe mai osato affrontare Tony Alva, quando chiunque si fosse trovato di fianco a quell’esile ragazzo, pronto a partire per la sua run in qualche sovraffollata pool nella Valley, avrebbe fatto meglio a non guardarlo nemmeno in faccia.

Al giorno d’oggi comunque, questi vecchi protocolli non sono ormai più in vigore. Alva, un 41enne barbuto e dreadlocked si trova oggi al The Block, centro commerciale nella zona di Orange County, California per skeitare il nuovo Vans Skatepark posizionato tra un Virgin Megastore ed un pub. Centinaia di ragazzi sono venuti qui per l’inaugurazione dello skatepark e una dozzina di questi, pronti a ‘tuffarsi’ nella pool più piccola dello skatepark, sono totalmente incuranti di Alva, per loro non è che un altro skater in jeans consumati, elmetto giallo e con qualche annetto in più della media.

E’ vero, però alcuni tra i più anziani lo notano, gli parlano brevemente, rispettosi. Ma i più giovani non notano questi scambi, impegnati ad osservare le due pool, la vert ramp e l’area street del nuovo immenso skatepark. Mentre Alva è posizionato al bordo della pool, con il piede sinistro piantato sulla coda della tavola che porta il suo nome, un ragazzino, completamente ignaro di Alva, si trova nella stessa posizione poco più distante da lui. Appena libera la pool, il ragazzino spinge il suo piede destro fiondandosi nella sua run…. E’ un momento, è come una bestemmia, un ragazzino di nove anni che ruba la run a Tony Alva, leader della DogTown, padre fondatore dello skate-punk urbano, l’uomo che ha trasformato lo skate da nose wheelies ed handstands, in una religione. Il ragazzino ha una minima idea di cosa ha appena fatto? Vent’anni prima ‘Mad-Dog’ Alva avrebbe scagliato la tavola sulla testa del povero ragazzino, ma oggi semplicemente applaude sorridendo a tutti i ragazzi in linea pronti a partire.
 
dogtown1_2Tony Alva è cresciuto a Santa Monica a poca distanza dalla spiaggia e dal parco giochi Pacific Ocean Park che, ristrutturato nel 1958 dalla CBS, cadde poi in rovina per la poca manutenzione attorno al 1967. Mentre gran parte della cultura surfista si sivluppò nelle belle e ricche aree attorno a Malibu e La Jolla, l’area povera e ghiaiosa tra Venice e Santa Monica, unita dall’ Ocean Park, venne soprannominata DogTown. Tutta l’area era frequentata da gente malfamata e la zona portuale era persino peggio, ma il porto servì un’altra e ben più importante funzione: correndo per 275 piedi ed estendendosi per centinaia nell’oceano creò tre rotture che i locals di DogTown usarono per surfare.

Il pericolo che costituiva surfare il molo del Pacific Ocean Park (P.O.P.), con il suo affollamento e numerose barriere in cemento, creò un intensa tradizione di clan: bisognava fidarsi solo dei propri compagni surfer. Qualche volta gli estranei venivano convinti a non inoltrarsi oltre semplicemente con un bel pugno in faccia, nessuna domanda, oppure capitava che un local si presentasse da un estraneo con un carburatore in mano chiedendogli “E’ tuo questo?” per poi scagliarlo nell’oceano. Fu qui, nella piena cultura surf di P.O.P. che Alva venne introdotto ai principi che avrebbero poi influenzato la scena skate di DogTown.

dogtown1_3Problemi familiari portarono Alva a spendere la maggior parte del suo tempo alla spiaggia dove era solito incontrarsi con un altro local, Jay Adams. Quattro anni più giovane di Alva, Adams in pratica nacque sulla spiaggia, vivendo con il patrigno, un surfer che aveva un’abitazione nella parte Nord del porto; Adams era un ragazzo esile, iperattivo, un prodigio dello sport con la tavola, con un sorriso malizioso ed un approccio spontaneo alla vita. Cominciò a surfare in pratica appena fu in grado di nuotare; ai tempi degli incontri con Alva, Jay aveva otto anni ma era già un surfer esperto ed una leggenda al P.O.P.

“Io e Jay eravamo gli unici ragazzi giovani a cui era concesso surfare al P.O.P.” dice Alva, “ma dovevamo guadagnarcelo prima”. Così capitava che gente più anziana concedesse loro di surfare per un po’ dopo aver svolto compiti utili alla comunità, tipo la Rat Patrol “Dovevamo sederci al porto con una pila di pietre e semplicemente bombardare chiunque non fosse del nostro territorio, con qualsiasi cosa avevamo, bottiglie, sassi, frutta marcia….Jay aveva proprio una buona mira!”.

dogtown1_4Nel 1970, Alva e un paio di suoi amici, incuriositi dai discorsi di alcuni tra i surfer più anziani andarono a dare un’occhiata al playground della Paul Revere High School che sembrava essere stato appena asfaltato e, per sconosciute ragioni architettoniche, presentava dei bank di 15 piedi; i ragazzi ne furono estasiati: i bank erano lisci e omogenei come delle onde cristalline. Attraverso gli anni ’60, a DogTown il surf aveva sempre avuto la precedenza sullo skate che era considerato semplicemente come qualcosa da fare quando non si poteva uscire in surf. All’inizio degli anni ’70 lo skate raggiunse una fase critica “quasi nessuno skeitava in quel periodo” racconta Stacy Peralta, un altro local di DogTown, “i ragazzi in pratica si costruivano da soli le tavole da pezzi di legno di fortuna e arrangiandosi recuperando pezzi dai pattini a rotelle”.

Ma dopo la scoperta di spot come Paul Revere ed altri schoolyard come Bellagio e Kenter Canyon, l’inadeguatezza dell’equipaggiamento utilizzato dai ragazzi sembrò marginale. Nuove ‘onde d’asfalto’ crescevano ogni giorno ovunque nella zona, creando nuove possibilità per lo skate. I ragazzi di DogTown cominciarono così ad applicare le tecniche del surf al cemento, cavalcando bassi e con le braccia aperte per bilanciarsi, skeitando con tanta intensità che spesso distruggevano i loro skate improvvisati in una singola session “stavamo semplicemente cercando di imitare i surfer australiani” dice Alva riferendosi al loro stile aggressivo di skeitare “facevano delle cose pazzesche che noi in acqua stavamo ancora cercando di imparare, ma riuscivamo a farle con lo skate”.

Tre anni più tardi, l’introduzione delle ruote in uretano riportò interesse nello skate, nel frattempo i ragazzi di DogTown avevano già sviluppato un approccio allo skate molto più evoluto di quello che si poteva vedere in giro “nessuno aveva il nostro stile surf-skate semplicemente perché non esistevano bank come i nostri da nessun’altra parte, era una cosa unica della nostra zona” ricorda Alva.

Alva ed Adams, con i ragazzi di DogTown erano soliti skeitare uno di questi bank proprio di fronte al negozio di surf ‘Jeff Ho & Zephyr Production’, evitando macchine e travolgendo i passanti. Jeff Ho e Skip Engblom, propietari di questo negozio, incominciarono la loro collaborazione attorno al 1968 quando entrambi erano ancora dei ragazzi. Ho era un intagliatore di tavole da surf che viveva nel retro del suo furgone, mentre Engblom era un surfer vagabondo che aveva viaggiato per il mondo cercando di evitare la chiamata alle armi; il loro scopo era quello di essere un’entità unica che non facesse capo a nessuno. Per questo scopo produssero le proprie tavole da surf e la loro linea di abbigliamento, pubblicizzandoli attraverso i propri video promozionali.

Per i ragazzi di DogTown il negozio era in pratica una seconda casa, solitamente aiutavano Ho a riparare le tavole nel retro del negozio in cambio di sconti o merchandise gratis. Di notte il negozio si tramutava in una specie di pulpito dove il carismatico Ho teneva banco mentre alcune band si esibivano e veniva elargita droga con generosità ed abbondanza tipica degli anni ‘70. Con il suo negozio Ho cercò di dispensare ai ragazzi quel senso di comunità e famiglia che provò quando crebbe sulla spiaggia “ero un solitario, un poveraccio che non poteva neanche praticare sport fino a quando scoprii il surf e tutti gli altri ragazzi che stavano crescendo proprio come me. Per capirci, chi è che spende tutto il giorno in spiaggia? Semplicemente chi non vuole stare a casa propria, e a questi ragazzi ho sempre detto: ‘questo è il surf, prova, se usi le tue capacità forse riuscirai a diventare qualcuno’”.

Per questo fine Ho sponsorizzò due team di surf, uno che includeva i migliori surfer della zona ed uno, cosa inusuale per quell’epoca, che raggruppava i migliori giovani che sarebbero diventati la futura ondata di star. Visto la crescente popolarità che lo skate stava attraversando, il surf junior team che includeva Tony Alva, Jay Adams, Shogo Kubo e Stacy Peralta si evolse nello Zephyr Competition Skate Team, consistente in dodici tra i migliori skater di DogTown, ed Ho creò per loro delle magliette identificative del Team.

dogtown1_5“Indossare la maglietta del team era incredibile” dice Peralta “noi eravamo in prevalenza ragazzi di ceto medio-basso e non è che avessimo davanti a noi grosse opportunità , non eravamo proprio ragazzi che si sarebbero graduati al college o che sarebbero arrivati alla spiaggia guidando le loro BMW. Così essere scelti a far parte di qualcosa era la cosa più incredibile che ci potesse capitare”.


Il Bahne-Cadillac Skateboard Championship tenutosi nell'estate del 1975 fu la più grande competizione che si svolse dopo il risveglio della scena dello skate. Venne appositamente costruita per l'evento, che si svolse in due giorni con gare di downhill, slalom e freestyle, una
rampa in legno lunga 150 piedi e più di 400 persone si ritrovarono a Del Mar, California per assistervi "è stato il primo grande contest che riunì gente di tutto il paese" racconta Peralta "noi ci presentammo li senza minimamente sapere cosa aspettarci dal resto del mondo, chi fosse e come skeitava".

Il team Zephyr indossava per l’occasione una sorta di uniforme, scarpe Vans e magliette blu personalizzate con il proprio nome e già questo bastò ai Z-Boys, come vennero poi chiamati, per apparire molto più aggressivi di chiunque altro fosse presente al contest. Le loro scarpe erano rotte e consumate, i jeans lisi e senza tasche, inevitabile risultato del loro stile basso e veloce e di sicuro aiuto fu il loro atteggiamento da bassi fondi "la nostra immagine era molto hard-core, così quando si trattò di skeitare contro qualcuno, avevamo già fatto impazzire tutti ancor prima di cominciare la run" racconta Alva.

Durante la prima fase della gara di freestyle, i riders avavano due minuti per mostrare le loro doti ad una manciata di giudici. In quel periodo la massima espressione per lo skate era orientata verso uno stile statico basato su pochi tricks: gli sfidanti mostrarono alcuni nose wheelies, handstands e ripetuti 360. Per i Z-Boys quello stile statico era assolutamente patetico ed immediatamente Jay Adams, il primo del team a skeitare, dimostrò il suo disprezzo per tutto questo. Spingendo il più forte possibile attraverso la piattaforma, Adams guadagnò immediatamente velocità e mentre si avvicinava al bordo della rampa cominciò a rannicchiarsi, bassissimo come nessun skater aveva mai fatto. La folla cominciò ad incitare Adams mentre questi si avvicinava alla parte finale della rampa, sembrava come se volesse essere catapultato fuori, ma abbassandosi ancora di più eseguì una curva velocissima lasciando il suo corpo completamente esteso e librante appena sopra la piattaforma con la mano destra spinta fuori per bilanciarsi e la sinistra piantata sulla piattaforma a fare da perno, in un istante virò di 180 gradi e si trovò a proseguire nella direzione opposta con velocità persino superiore a quella con cui si era lanciato sulla piattaforma. La folla impazzì urlando a squarciagola "tutta quella gente impazzì" dice Peralta "non avevano mai visto questo tipo di stile così veloce ed aggressivo".

dogtown1_6In due veloci minuti la performance di Jay finì. Non eseguì nemmeno un handstand ed un kickflip e per il resto della giornata, mentre gli altri atleti si aggiravano sulla piattaforma come dei ginnasti al rallentatore, il resto dei Z-Boys continuò ad incantare la platea. Ma non fu soltanto la folla ad accorgersi della così evidente differenza tra le due fazioni, gli stessi Z-Boys cominciarono a realizzare che quello che per loro era la normalità per tutti gli altri era innovazione "quando ci confrontammo con gli altri ci accorgemmo subito di essere un passo avanti a tutti" racconta Alva "il nostro stile di approccio era assolutamente diverso".

Lo stile del team Zephyr fu così senza precedenti, che i giudici non seppero nemmeno come valutarlo.

La notizia si sparse velocemente. In meno di una settimana dal termine del contest, ragazzi da tutto lo stato si presentavano al negozio per sfidare i Z-Boys "era come avere uno scontro armato ogni giorno" ricorda Engblom "e più ragazzi Tony e Jay umiliavano, più ne arrivavano, ricordo persino un gruppo che arrivò dall'Arizona".

In breve tempo le 'get laid’ t-shirts dei Z-Boys andarono a ruba e furono spesso oggetto di tentativo di furto da parte dei ragazzi che non potevano permettersele. Skateboarder magazine cominciò a pubblicare articoli su DogTown e i Z-Boys, i fotografi diventarono uno standard persino per le più normali session, i contest crescevano a dismisura su tutto il territorio, migliaia di ragazzi compravano tavole e all'improvviso anche chi non era interessato allo skate ne fu attratto.

“Gli skater possono essere paragonati a dei guerriglieri urbani” era solito affermare Craig Stecyk, un amico di Ho ed Engblom che mandava avanti un piccolo studio d’arte all’interno del loro negozio. Stecyk ebbe il merito di seguire, documentare ed in gran parte definire lo stile di vita a DogTown, attraverso i suoi articoli e le sue foto pubblicate su Skateboarder magazine. Come sostiene Stecyk, prima della venuta dei Z-Boys, nessuno mai pensò di skeitare niente altro al di fuori del cemento, mentre gran parte delle strutture che usavano i ragazzi di DogTown si trovavano nel retro delle ricche case di SoCal. Nella metà degli anni ’70 la California si ritrovò nel bel mezzo di una forte siccità, e in tutta Los Angeles si potevano trovare pool svuotate dall’acqua, a Brentwood, a Malibu e sulle colline di Bel Air, dove i primi incendi distrussero ricche case ma lasciarono intatte le pool.

Immediatamente si scoprì la possibilità di skeitare queste nuove strutture e cominciò una vera e propria caccia alle pool, i ragazzi in giro per la città chiamavano al negozio di Ho per segnalarne di nuove ed ogni settimana la lista si allungava. Quando una pool ormai conosciuta diventava troppo affollata o quando i vicini avvisavano la polizia, semplicemente se ne trovava una nuova; la caccia a nuove pool divenne importante quanto skeitare ed i ragazzi di DogTown divennero ossessionati da questa ricerca “guidavo lentamente lungo le vie di Beverly Hills e Jay stava sul tetto della macchina e guardava oltre le siepi e le recinzioni delle case” racconta Peralta. Consultarono persino le liste locali in cerca di case libere con piscine sul retro, riuscirono anche a skeitare nel retro della casa di un pompiere dopo aver conosciuto i suoi turni di lavoro ed una volta Adams e Shogo Kubo pagarono 40 dollari un pilota di Santa Monica per un’ora di lezione di volo, ma ovviamente spesero tutto il loro tempo ricercando pool.

Racconta Jim Muir, uno dei più avidi pool-skater di DogTown “tutto era ormai come un gran segreto, si evitavano gli amici perché non si voleva che venissero a conoscenza della pool che avevi appena scoperto, altrimenti sarebbe diventata immediatamente affollatissima. Si lasciavano dei ragazzi di guardia, se arrivava la polizia si scappava dal retro della casa e se arrivavano dal retro si fuggiva scavalcando le siepi”. Dopo poco tempo le volanti che rispondevano a queste chiamate erano quattro o cinque così, come spesso capitava, i rider si nascondevano sugli alberi mentre i poliziotti li ceravano, ricominciando poi a skeitare non appena se ne andavano. Quando venivano catturati solitamente venivano rilasciati subito con una semplice strigliata, capitava a volte che venissero anche arrestati per invasione di proprietà privata ma questo li rendeva ancora più determinati “la botta di adrenalina che si provava nel saltare una siepe o nello skeitare nel retro della casa di qualcuno e scappare appena tornava, era incredibile” racconta Alva “al giorno d’oggi non puoi nemmeno pensare di saltare in casa di qualcuno, verresti sbranato da un doberman o colpito da una guardia”.

Come i bank dei schoolyard, le pool offrivano una struttura completamente nuova che portò ad una rapida innovazione. In molti pensano che proprio a DogTown siano nati gli aerials, a causa dello stile veloce ed aggressivo che portava spontaneamente i rider ad uscire dal bordo della piscina tenendo la tavola. Fotografi come Stecyk e l’allora tredicenne Glen E. Friedman, cominciarono a catturare su pellicola queste figure così innovative ed immediatamente in tutta l’America ragazzi strappavano le pagine di Skateboarder magazine per appendere sui propri muri i ribelli di DogTown.

Inizialmente, l’equipaggiamento gratuito ed i guadagni provenienti dalle t-shirts Zephyr Competition furono sufficienti per soddisfare i membri del team, ma nel 1976 lo skate era ormai vicino ad essere un’industria da 400 milioni di dollari, i Z-Boys erano cresciuti e cominciarono a pensare cosa potesse offrire loro il mondo.

I veri problemi arrivarono però dal negozio, Ho ed Engblom entrarono in società con il patrigno di Jay Adams, Kent Sherwood, per produrre una linea di skate in fibra di vetro chiamati Zephyr Flex. Nel giro di breve tempo affiorarono i primi disaccordi “Fondamentalmente Kent decise che non stavamo producendo le tavole abbastanza velocemente così la situazione divenne insostenibile” dice Ho “la vendita delle tavole mando tutto all’aria!”. “Eravamo poco più che ragazzi” dice Engblom “ma in poco tempo ci trovammo ad affrontare richieste di 10.000 tavole, come potevamo produrne una così elevata quantità?”. Per concludere, Sherwood terminò la sua collaborazione con i due ed avviò la propria compagnia, la Z-Flex e di conseguenza Adams ed altri rider cominciarono a skeitare per questa nuova compagnia.

Subito dopo l’esodo di Kent, Ho cominciò a cercare uno sponsor che avrebbe tenuto unito il resto del team, ma non ne fu capace così Alva lasciò per skeitare con la Logan Earth Ski e Peralta firmò per la Gordon & Smith, “Ho provato a fargli capire quanto era importante l’aver iniziato come un’unità e terminare come tale” racconta Ho “ma tutti decisero di seguire la strada dei milioni…”.

Se inizialmente i ragazzi di DogTown si intrufolavano nelle case delle star del cinema di Hollywood per skeitare le loro pool, ora erano loro ad essere ingaggiati per apparire nei film. Tony Alva ebbe una parte nel film ‘Tony Bluetile’, Stacy Peralta, che guadagnava la bellezza di 5.000 dollari al mese per il suo contratto con la G&S, apparì nel film ‘Freewheeling’. Così mentre il direttore esecutivo della Skateboard Association sosteneva che Tony Alva rappresentava tutto quello che di vile si poteva trovare nello skate, il nuovo stile DogTown era rincorso in tutto il paese e per i ragazzi che non potevano raggiungere l’atleticismo di Jay e Tony, una tavola o un elmetto che ne riportava il nome era una buona consolazione.

Ma era veramente possibile impacchettare l’incontrollabile energia di un ragazzo come Jay? Si poteva veramente trasformare un ragazzo che aveva vissuto nelle strade di L.A., nel portavoce di una ditta? Solitamente no. In Messico, dove Adams, Alva e molti altri DogTowners si recarono per testimoniare l’apertura di un nuovo skatepark, i ragazzi che una volta emulavano i surfisti australiani, ora assomigliavano sempre più a delle rockstar, di giorno skeitavano e di notte si davano ai party, distruggendo camere d’albergo ed appena la sua fama crebbe, Jay cominciò a frequentare rockstar aggirandosi alla ricerca di nuove pool con il suo nuovo amico Bunker Spreckels su una limousine con autista.

Entro il 1977 tutti i ragazzi di DogTown stavano prosperando. Quell’anno Alva vinse il Pro Championship e subito dopo lasciò la Logan Earth Ski e creò la propria linea di skateboards, Peralta lasciò il suo sponsor per associarsi alla Powell Skateboards che di conseguenza cambiò il suo nome in Powell-Peralta mentre Jim Muir ed un altro local di DogTown, Wes Humpston che era solito disegnare a mano grafiche sotto le tavole mentre viaggiava da uno spot all’altro, registrarono il marchio DogTown e produssero la prima linea di tavole con grafiche stampate sulla parte inferiore. Jay Adams ottenne la produzione della sua tavola Z-Flex personalizzata ed un elmetto chiamato ‘Flyaway’ “ottenni ottimi guadagni, ma il tutto durò un solo anno”.

dogtown1_7Verso la metà degli anni ’70, Adams e Alva erano un gradino sopra a chiunque altro, pionieri dell’approccio hard-core alla vita in generale. Ma verso la fine degli anni ’70 il punk cominciò a prendere piede “Black Flag, Circle Jerks, Descendents, Bad Religion, Suicidal Tendencies, ci buttammo su tutta la musica che stava nascendo a L.A. in quel periodo” dice Alva “c’era così tanta energia nei loro show, Skate e punk si confrontarono per la loro comune aggressività”.

Il punk rimpiazzò Jimi Hendrix e Ted Nugent come colonna sonora per le skate-sessions; la musica era tanto aggressiva quanto le session stesse sempre più precedute dalla reputazione hard-core dei DogTowners “eravamo come un grossa palla di chaos rotolante, una gang mobile con la sua missione, ci presentavamo agli skatepark e trovavamo sempre qualcuno che non ci reputava così cattivi come venivamo descritti”, seguiva ovviamente una rissa. Di notte, dopo aver assistito a concerti di band locali come i Suicidal Tendencies (il cui cantante è Mike, fratello più giovane di Jim Muir), le cose andavano persino peggio “andavamo a feste, ma la droga e l’alchool cominciavano a pesare su di noi. Perdemmo molti amici a causa delle droghe” racconta Alva “cominciammo a perdere di vista cosa veramente contava, lo skate”.

dogtown1_8Già nei primi anni ’80, quando band come Black Flag e Adolescents erano in auge, l’industria dello skate stava nuovamente collassando. Skateparks che avevano aperto appena un paio di anni prima erano costretti a chiudere non essendo in grado di ottenere assicurazioni o attrarre abbastanza gente per sopravvivere, i ragazzi che resero famoso lo skate negli anni ’70 cominciavano ad invecchiare e ad abbandonare lo sport e, a rendere le cose ancora peggiori l’America cadde in una forte recessione. Le vendite dell’industria dello skate crollarono, la tavola personalizzata di Peralta, ad esempio, che vendeva più di 5.000 pezzi al mese, non andava oltre poche centinaia. Jim Muir e Wes Humpston persero il marchio DogTown a scapito dei loro collaboratori che però fallirono in breve tempo. “Le cose semplicemente saltarono” racconta Alva riguardo alla sua compagnia di skate “perdemmo quasi tutti i soldi che avevamo guadagnato dal boom, puntando su prodotti (come vestiti alla moda) che ebbero una breve vita”. Sentendo vicina la fine dello skate, Alva abbandonò la sua collaborazione con Zehnder e tornò per un po’ a vivere da suo padre e quasi subito cominciò a seguire lezioni odontoiatriche ad un vicino college. Come ultimo e terribile episodio per quel periodo, anche la fortuna che aveva sempre accompagnato il pazzo carattere di Jay, sembrò scomparire. Adams venne incarcerato per quattro mesi in quanto accusato di aver picchiato a morte due gay che tranquillamente passeggiavano per la strada “tutto sembrò crollarci attorno, avrei voluto che avessimo fatto alcune cose in maniera differente”.

Quando lo skate cominciò a ritornare in auge nella prima metà degli anni ’80, grazie soprattutto ai video spettacolari che Stacy Peralta realizzò per promuovere la Powell Peralta, i DogTowners non erano ormai gli skater più esperti in circolazione. Una nuova ondata di giovani talenti come Christian Hosoi, Rodney Mullen e Tony Hawk li avevano di gran lunga sorpassati e negli anni a venire poco si sentì e si vide sulla DogTown nei magazine di skate, l’unica eccezione furono i superbi libri di Glen E. Friedman, ‘Fuck You Heros’ e ‘Fuck You Too’ contenenti tantissime foto di Alva, Adams e degli altri DogTowners.

Ma se la storia di DogTown è ormai quasi completamente dimenticata, l’influenza che ebbe negli anni seguenti e fino ai giorni nostri è inequivocabile “furono dei veri e propri rivoluzionari dello stile” ricorda Kevin Thatcher produttore di ‘Thrasher’, “voglio dire, tutto snowboard compreso nacque da quello che Jay e Tony fecero vent’anni fa. Molta gente prova oggi ad essere ‘hard-core’, ma loro non dovevano neanche provarci, gli veniva spontaneo”.

Ai giorni nostri, Jay Adams vive e surfa nelle Hawaii, Alva skeita ancora, sul suo collo è tatuata la scritta ‘100% Skateboarder For Life’ e nonostante la sua breve pausa per le lezioni odontoiatriche, realizzò che non avrebbe mai potuto cimentarsi in un lavoro qualsiasi. Fece risorgere la sua label verso la metà degli anni ’80 ed ancora oggi realizza e produce tavole che portano il suo nome. Negli ultimi trentadue anni ha sempre continuato a skeitare senza problemi, sia che si trattasse di un letto di un fiume, di una nuova pool o di un nuovo skatepark.

Ed è proprio quello che sta facendo oggi, all’apertura del nuovo skatepark sponsorizzato Vans, dove scrutando dal bordo della pool i ragazzini che si sono lanciati prima di lui, attende il momento del loro errore. E proprio prima che il ragazzino perda il controllo della sua tavola, Alva, con un sesto senso sviluppato in trent’anni d’esperienza, si lancia per cominciare la sua run.

Due ore più tardi Alva e la sua ragazza lasciano lo skatepark uscendo dall’entrata principale del centro commerciale, mentre un gruppo di ragazzini cercano in ogni modo di entrare, ma i due notano appena la scena ed i tre poliziotti che accorrono passandogli vicino esclamando “Beh cosa dovevano aspettarsi se non dei problemi? Hanno messo uno skatepark nel bel mezzo di un centro commerciale!”.

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